La tabella sui beni “ad alta frequenza di acquisto” diffusa venerdì 22 febbraio dall’Istat ha creato una bella confusione politica, tanto che il presidente dell’Istituto Luigi Biggeri ha dovuto spiegare la natura di questi dati con ampie interviste rilasciate ai maggiori giornali. Tra l’altro, il sito dell’Istat è rimasto inaccessibile per buona parte del sabato, e questo non ha certo facilitato il lavoro degli studiosi che cercavano di interpretare la bomba statistica scoppiata il giorno precedente, con la diffusione del solito comunicato sui prezzi al consumo relativo al mese di gennaio, ma anche di una nota di approfondimento che conteneva appunto la tabellina esplosiva.
Cerchiamo di capire il vero senso dei nuovi dati, utilizzando anche le ampie informazioni metodologiche fornite dall’Istat.
Da anni gli statistici si interrogano sul divario tra inflazione rispecchiata dai panieri dei beni e servizi consumati ed inflazione percepita. Cito ad esempio una Relazione molto chiara del settembre 2004 dell’economista Sheila Anne Chapman per un seminario del Vicariato di Roma: “la Banca Centrale Europea osserva che l’indice armonizzato dei prezzi al consumo comprende i prezzi di beni oggetto di acquisto pressoché giornaliero, il cui pagamento avviene quasi sempre in contanti (i cosiddetti acquisti out-of-pocket: per esempio, cibo, un pasto al ristorante o un caffè al bar), beni oggetto di acquisto assai raro (un’automobile o un PC) e beni il cui pagamento avviene attraverso bonifici bancari periodici (il pagamento dell’affitto o di premi assicurativi). Anche se i beni che rientrano nella prima categoria rappresentano solo il 35-40% dei consumi compresi nel “paniere” europeo, secondo la Bce è sui loro prezzi che i consumatori formulano le loro percezioni dell’inflazione“.
Questa “out of pocket inflation” (cioè i beni che si pagano in contanti) corrisponderebbe all’inflazione percepita ed è molto simile alla dinamica inflazionistica dei beni ad alta frequenza di acquisto diffusa ora dall’Istat.
Tutto ciò significa che la dinamica dell’inflazione, cioè dei beni acquistati dalle famiglie, è stata pari nell’ultimo anno al 4,8% anziché al 2,9 come dice l’indice generale? Certamente no, perché le famiglie italiane non vivono solo di alimentari e carburanti. Del resto, l’Istat, oltre all’indice NIC per l’intera collettività nazionale, diffonde anche un indice FOI, Famiglie operai e impiegati, che dovrebbe appunto rispecchiare i consumi medi delle famiglie dei lavoratori dipendenti: è questo l’indice usato anche per la rivalutazione di affitti e assegni divorzili; e molti, sia detto per inciso, non sarebbero affatto contenti di trovarsi di fronte a rivalutazioni annuali più elevate che andrebbero a incidere sulle loro tasche. Comunque l’indice FOI mostra andamenti dei prezzi molto simili al NIC e ben lontani da quelli dei beni ad alta frequenza d’acquisto.
Si dice però: l’indice FOI non rispecchia realmente la situazione delle famiglie, soprattutto di quelle meno abbienti. Può darsi, ma nessuno lo ha dimostrato. E’ vero che per le famiglie più povere gli alimentari, che sono “ad alta frequenza di acquisto” incidono molto di più, ma probabilmente incidono meno i carburanti, che pure appartengono alla stessa categoria dell'”alta frequenza”. Insomma, si possono produrre altri panieri che rispecchiano i consumi di particolari tipi di famiglie (e l’Istat già ne aveva parlato in una nota tecnica di un anno fa, oltre che sull’ultimo Rapporto Annuale), ma certo non si possono prendere i beni “ad alta frequenza di acquisto” come indicativi dei consumi poveri.
Ma i panieri sono fatti bene? Questo è un altro problema. Premesso che per ogni categoria di consumi si devono scegliere alcuni beni e non tutti (nei prodotti scolastici si possono includere per esempio le matite, ma non anche la gomma e il temperino e tutti gli altri oggetti che riempiono l’astuccio dello scolaro) altrimenti la rilevazione sarebbe troppo costosa, la scelta effettuata è accettabile? E le ponderazioni, i pesi attribuiti alle tipologie di beni consumati, sono realistiche? Su questo punto la discussione è aperta. Credo che l’Istat faccia il possibile per rispecchiare la realtà seguendo metodologie internazionali, ma personalmente non riesco a capire perché su questo punto non si possa raggiungere un consenso anche con le associazioni rappresentative dei consumatori prima di annunciare le variazioni del paniere. Non dico che questo mancato consenso sia colpa dell’Istituto, e non della litigiosità delle associazioni dei consumatori. Certo, mi sembra, che di dialogo ce n’è pochino a non aiuta il dialogo la latitanza della Commissione di garanzia sull’Informazione Statistica che dovrebbe fare da garante tecnico al lavoro dell’Istituto di statistica e che invece è da anni un ectoplasma.
In conclusione: fa bene l’Istat a continuare i suoi approfondimenti su consumi e prezzi relativi per le diverse tipologie di famiglie, come del resto avviene in tutta Europa. Fa bene a lavorare sull’ “out of pocket inflation” o sui beni ad ampia frequenza di acquisto. Ma attenzione, colleghi dei media, a non trasformare una ricerca tecnica in una sconfessione di indicatori come quelli sull’inflazione sui quali è fondamentale avere un consenso condiviso e sui quali non ho ancora visto un economista proporre una credibile metodologia diversa.
Caro Donato, porterò con me alla prossima riunione della Commisssione di garanzia per l’informazione statistica il tuo messaggio, che condivido in pieno. Posso aggiungere che sono rimasto sconvolto qualche sera fa nel sentire a Ballarò il segretario della uil Angeletti affermare senza che nessuno lo smentisse (ma di regola a Ballarò si parla molto di economia, però solo in casi rarissimi ci sono dei competenti in materia) che le statistiche sui prezzi dell’Istat sono false, perchè affermare che l’inflazione è al 2-3% è una favola alla quale non può credere nessuno. Povera Italia se un simile ignorante è il capo di un importante sindacato. Purtroppo la mia continua polemica sulla inutilità della Commissione si è sempre scontrata contro un muro di gomma. Ma la reaponsabilità maggiore non è del buon professor Chiappetti, che da giurista si preoccupa soprattutoo della legittimità degli atti; è invece di Luigi Biggeri, che non sembra comprendere come lasciare senza risposte adeguate simili attacchi comprometta la sua stessa immagine. Ma che vogliamo fare? ti saluto molto affettuosamente, tuo Giovanni Somogyi
Sono un po’ in ritardo, però le “minchiate” che si raccontano come se fossimo degli idioti, per convincerci che al passaggio Lira -Euro non si fosse, dopo poco, “per i generi di consumo corrente e continuato”, leggi “generi di prima necessità”, in particolare “alimentari”, passati da 1000 Lire= I Euro non potete negarlo: cerdo esistano ancora dati su Internet. Che le “pendrive” costino un decimo di allora, non indica inflazione 1,5 %. Si calcolino slmeno 3 indici Istat: generi alimentari e simili, energia e gas, beni durevoli: allora si avrà una migliore “trasparenza”, ancora, “artatamente” noascosta o, addirittura, vietata. Spiegateci “economisti mentitori” come si è evoluto l”indice di Gini”, il più generico ericonfermateci che “tutta” la gente sta meglio!.
non so se qualcuno dei sostenitori che “percepiamo male” saprà come e rispondermi e si “degenerà” di darmi una risposta al precedente commento. Poi, potrete dire che Angeletti, il sottoscritto e tutte le massaie che si lamentano sono degli imbecilli(che non capiscono, iin termini forbiti). Grazie