La politica, quella vera che risolve i problemi, non è quella dei talk show dove la gente litiga artificiosamente per avere più audience. E’ fatta invece di elaborazioni complesse, sulle quali si deve ricercare il massimo possibile consenso e poi decidere. Prendiamo spunto da due episodi delle cronache politiche di questi giorni: il pensionamento delle donne e l’abolizione delle province. Come in tanti altri casi, si tratta di riforme che non si faranno nel corso di una sola legislatura. Ma proprio per questa ragione è necessario avviare un ragionamento bipartisan con tutti i politici di buona volontà. Articolo pubblicato su Terza Repubblica.
Il meccanismo è sempre lo stesso, più o meno con gli stessi passaggi. Primo: è necessario introdurre un’innovazione importante nel sistema politico o sociale: sull’esigenza della riforma si raccoglie un ampio consenso. Secondo: ci sono delle resistenze che impediscono un’attuazione troppo rapida della suddetta innovazione, perché insorgerebbero problemi interni alla maggioranza di governo. E la dialettica del bipolarismo impedisce la formazione di maggioranze trasversali. Si potrebbe ugualmente avviare un percorso graduale di riforma, magari scaglionato in diverse legislature e preparato da un dialogo bipartisan. Invece, e questo è il terzo e inevitabile passaggio, di fronte alla constatazione dei contrasti e all’impossibilità di sfruttare politicamente la questione nell’immediato con un bell’annuncio (fatto!!!… ricordate?) si preferisce mettere tutto nel cassetto: se ne riparlerà nella successiva campagna elettorale.
La cronaca politica ci offre almeno due esempi di questo modo di procedere. Il primo riguarda il superamento del pensionamento anticipato delle donne: la proposta caldeggiata da Emma Bonino fin da quando era ministro delle politiche comunitarie (c’era da adeguarsi a una probabile sentenza dell’Unione europea, che infatti è puntualmente arrivata), ora ripresa da Renato Brunetta. In realtà il tema è molto complesso e le posizioni “pro” o “contro” hanno poco senso. La stessa Bonino, quando partì con decisione su questo tema, si rese conto che andava inquadrato in una strategia più generale per migliorare la condizione femminile nel mondo del lavoro, e dedicò a questo argomento una Nota aggiuntiva al Rapporto 2007 sulle politiche di Lisbona. In ogni caso, il cambiamento dell’età di ritiro va fatto gradualmente, accompagnato da misure per rendere meno misere le pensioni delle donne. Infatti, con il graduale affermarsi del sistema di calcolo contributivo, le donne risentiranno sempre di più nei loro trattamenti del ritardato ingresso nel mondo del lavoro e delle interruzioni per esigenze di famiglia. Nessuno pensa che l’età pensionabile per le lavoratrici possa essere bruscamente spostata da 60 a 65 anni, ma certo è opportuno definire fin da adesso un percorso di equiparazione che, come in Gran Bretagna, potrebbe spingersi anche fino al 2020, accompagnato da misure di sostegno alla maternità e magari da altri interventi per favorire il ruolo delle donne nel mondo del lavoro.
Un discorso analogo si può fare anche per l’abolizione delle province. Personalmente ho qualche dubbio sul fatto che la loro scomparsa porterebbe a un gran risparmio: la struttura fatta di soggetti amministrativi con competenza territoriale tra i comuni e la regione dovrebbe per forza rimanere e in molti casi la scomparsa degli uffici provinciali ne farebbe nascere altri a carattere consortile tra comuni, se non si vuole fare delle regioni (che non sono più efficienti delle province) dei mostri di burocratica complessità. Però la cancellazione degli organi provinciali elettivi sarebbe certamente un vantaggio per le casse dello Stato. Ma Berlusconi dice che Bossi gli impedisce di mantenere questa promessa elettorale perché non vuole perdere il potere nelle province controllate dalla Lega. Anche in questo caso, il percorso di abolizione potrebbe essere graduale, magari accompagnato dall’accorpamento dei comuni minori per portarli a una dimensione amministrativa ottimale: tutte cose che non si fanno da un giorno all’altro, ma che si possono cominciare a progettare senza spaccarsi tra i sì o i no.
La politica, quella vera che risolve i problemi, non è quella dei talk show dove la gente litiga artificiosamente per avere più audience. E’ fatta invece di elaborazioni complesse, sulle quali si deve ricercare il massimo possibile consenso e poi decidere. I problemi complessi, da risolvere nell’arco di più legislature, sono quelli sui quali dovrebbe anche essere più facile realizzare una collaborazione tra maggioranza e opposizione.
Forse sarebbe il caso di mettere nero su bianco un’agenda di questioni, come quelle che ho citato, che non possono essere totalmente risolte nell’arco della legislatura e sulle quali chiamare a discutere politici ed esperti dei due schieramenti. Sui grandi temi globali ci stiamo abituando a guardare avanti: entro il 2009 il mondo deciderà che cosa fare per l’ambiente dopo il trattato di Kyoto, cioè oltre il 2012. Gli obiettivi ambientali europei sono già proiettati al 2020. Forse anche per la politica italiana noi di Società aperta dovremmo cominciare a discutere del prossimo decennio con i leader più capaci di guardare avanti.