Due filmati totalmente diversi ci danno il senso del dilemma dell’Europa sui problemi dell’immigrazione. Il primo, di grande attualità in questi giorni di visita in Italia di Muammar Gheddafi, si chiama “Come un uomo sulla terra”. E’ stato realizzato su iniziativa di Asinitas, una Onlus romana che opera nel campo dell’accoglienza e della formazione dei migranti, affidando agli stessi immigrati il compito di raccontare con la macchina da presa il viaggio fino al Mediterraneo. Il risultato, altamente drammatico, viene ora proiettato in molte sedi culturali ed è stato anche mostrato a Piazza Farnese in occasione della visita del dittatore libico.
Gli intervistati sono quasi tutti uomini e donne che provengono dall’Etiopia. Il racconto di quello che hanno subito in Libia è sconvolgente. Al termine di un viaggio difficile e pericoloso attraverso il deserto, dopo essere stati più volte derubati, vengono arrestati dalla polizia libica quando arrivano alla costa e rimandati indietro in oasi dove rimangono a  marcire per mesi in prigione. Le donne spesso stuprate, Poi la polizia stessa li libera e li vende a trafficanti di uomini che consentono loro di rimettersi in contatto con la famiglia d’origine, per farsi mandare altri soldi. A questo punto credono di poter andare liberi, ma quasi sempre sono nuovamente arrestati dalla polizia e la trafila ricomincia. C’è chi ha vissuto questo calvario sei o sette volte.
L’altro film su cui meditare è uno spezzone cinematografico che si trova su You Tube. Con le aride cifre della demografia, mostra la rapida crescita della popolazione musulmana in Europa e in America. Riporta anche una frase dello stesso Gheddafi, sul fatto che ormai è inutile combattere l’Europa con la spada o il terrorismo, perché per vincere la battaglia per l’islamizzazione basterà aspettare gli effetti della diversa prolificità delle famiglie immigrate rispetto a quelle già residenti.
Il filmino antislamico è realizzato da un’associazione fondamentalista cristiana degli Stati Uniti e il suo invito a rispondere all’ondata musulmana con un’intensa opera di evangelizzazione suona un po’ patetico. O anche pericoloso, se ci porta a  immaginare Occidente dilaniato dallo scontro di religioni. Anche le cifre sono forse gonfiate.
Tuttavia la testimonianza della sofferenza  del primo commovente film, unita all’arido e contrapposto linguaggio delle cifre, devono stimolarci a elaborare una politica che non sia soltanto fatta di frasi a effetto o di misure contingenti e inutili. Una politica che mostri pietà, ma tenga conto delle dinamiche di lungo termine. Cerchiamo di fissare alcuni punti.

Innanzitutto, la necessità di distinguere tra chi ha e chi non ha diritto alla richiesta d’asilo, invocata in questi giorni come giustificazione per fermare i respingimenti in mare, è solo una foglia di fico anche se è è giuridicamente fondata. Nelle aree dall’Africa al Pakistan è sempre più difficile distinguere chi emigra per sfuggire a guerre o persecuzioni e chi invece lo fa solo per cercare un migliore avvenire per se e per la propria famiglia. Anche se la Marina italiana riuscisse (operazione impossibile) a organizzare questa selezione sulle proprie navi prima di riportare gli altri migranti in Libia, il fatto stesso di condannare migliaia di esseri umani a rivivere le condizioni della detenzione nel Paese di Gheddafi dovrebbe essere considerato ripugnante e indegno di un Paese civile come l’Italia.
D’altra parte è evidente che l’Europa non può accogliere tutti, perché la spinta alla migrazione, stimolata anche dai cambiamenti climatici e più semplicemente dal diffondersi di modelli culturali che fanno apparire la vita in Europa e in America di gran lunga migliore di quella nei Paesi d’origine, coinvolgerà nei prossimi anni decine di milioni di persone. Ho già scritto in precedenza che l’Italia, arrivata a sessanta milioni di abitanti e quindi ai livelli di più elevato sovrappopolamento europeo, almeno nelle aree metropolitane, dovrebbe tendere a una politica di mantenimento dell’equilibrio demografico: una politica che darebbe comunque spazio a una immigrazione selettiva (cento – duecentomila immigrati all’anno, considerando la scarsa natalità e i ritorni in patria) in quantità che dovrebbero anche consentire un’accoglienza dignitosa.
E’ evidente però che un grande lavoro va fatto nei Paesi d’origine. Non bloccando la gente in mare, ma facendo di tutto perché i migranti non intraprendano la via del deserto, attraverso Paesi come il Niger e la Libia dove la loro trasformazione in schiavi è pressoché sicura. Iniziative di sviluppo, ma anche d’informazione sono indispensabili per mettere in luce tutti i rischi dell’immigrazione clandestina.
Infine, non c’è dubbio che se anche riusciremo a governare con fermezza e umanità i flussi migratori, l’Europa sarà sempre più una società multiculturale. E allora, anziché negare questa realtà, dovremo interrogarci sul significato profondo della multiculturalità che non significa soltanto apprezzare il kebab o disprezzare il velo delle donne. Ci sono valori importanti di giustizia, diritto, dignità femminile, su cui l’Europa non può transigere. Ed è molto pericoloso dare per scontato che la multiculturalità significhi la creazione di ghetti separati (come abbiamo accettato che avvenisse con i cinesi), senza neppure tentare un’integrazione. Credo però che queste convinzioni siano comuni a molti immigrati che non vivono la loro cultura d’origine come un fondamentalismo. Ecco, forse il grande impegno  nel campo dell’immigrazione in Europa dovrebbe essere proprio questo; non l’evangelizzazione come vorrebbero i fondamentalisti cristiani, ma una grande battaglia laica, per la ricerca di valori comuni su cui costruire un futuro condiviso. Va in questo senso anche l’appello di Obama all’Università del Cairo, segnale di speranza per tutti.

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