Ritornare dopo 50 anni. La mia non è la storia dell’emigrante che torna da pensionato al suo paesello, ma al contrario quella di un adolescente che va con una borsa di studio per un anno a Lincoln, nelle grandi pianure americane, e ci ritorna da anziano, avendo scoperto grazie a Facebook che i suoi compagni di allora hanno organizzato una “50 years celebration”. E’ stata una settimana molto bella, per il calore con cui sono stato accolto, ma anche molto stimolante, perché mi ha fatto riflettere sull’America più profonda e sulle differenze rispetto a noi europei. Ho raccolto queste impressioni in una lettera ai miei compagni, pubblicata integralmente sul mio blog inglese.
Sono stato spesso negli Stati Uniti per lavoro o per turismo, ma questa esperienza è stata diversa. Il Nebraska è esattamente al centro degli Stati Uniti. Da queste praterie passavano le carovane dei pionieri prima che la ferrovia facilitasse il viaggio alla costa occidentale. Non si fermavano, i pionieri, perché le grandi pianure erano considerate, a torto, poco fertili. E ancor oggi pochi stranieri visitano il Nebraska. E’ la terra del granoturco e del bestiame, di gente sorridente e aperta, con valori semplici e condivisi. Questo è il cuore dell’America, diverso da New York e da Washington, ma anche dalla California o dal Colorado: un mondo conservatore, ricco di valori profondi, con una religiosità viva e sincera. Un mondo molto lontano dal nostro.
Non ho incontrato government officials oppure opinion leaders, come negli altri miei viaggi negli States, ma ho avuto la possibilità di stabilire un rapporto personale con una comunità di miei coetanei. E anche di verificare che cosa ciascuno di noi aveva fatto nella vita, perché tutti insieme abbiamo aggiornato l’Annuario prodotto dalla scuola nel 1959 con le nostre biografie al 2009. Nella riunione di sabato 19, al Country club di Lincoln, abbiamo anche ricordato quelli che non ci sono più, come Patty Spilker, la reginetta della classe, morta di aneurosi, o Tip Dow il genio della scuola che andò ad Harvard e morì di Aids mentre lavorava per l’Africa. C’è di tutto, nelle storie dell’Annuario, anche qualcuno che ha perso due figlie l’11 settembre e altri che hanno combattuto in Vietnam. Se avessi la penna di Edgar Lee Masters ne potrei ricavare un nuovo Spoon River.
Al termine di queste belle giornate, mi sono interrogato e ho scritto ai miei compagni una lettera che, come ho detto all’inizio, potete trovare sul mio blog inglese. In pratica mi sono fatto due domande, una positiva e una più problematica. La prima nasce dalla costatazione che questa gente, nel complesso, emana una forte sensazione di serenità, direi quasi di vita felice. E’ solo apparenza? Non mi sembra, perché ho parlato abbastanza a lungo con molti di loro per capire che non era una finzione dovuta alla circostanza di ritrovarsi con gli ex compagni. Non da oggi mi occupo di felicità, di come si misura, di che cosa è determinante per il benessere individuale. Ne scrivo spesso sul mio blog e su altri giornali. Ho voluto sapere la loro opinione.
La seconda domanda nasce invece da una sensazione preoccupante che ho avuto in questo viaggio. Anche se il mondo è diventato più piccolo (mezzo secolo fa non parlai mai al telefono con mio padre, nell’arco di un anno, oggi da Lincoln ho parlato quotidianamente con i miei cari attraverso Skype e telefonate da pochi centesimi), anche se tutto ci sembra globale e interconnesso, i miei compagni americani mi sono sembrati lontani anni luce dal nostro modo di affrontare i problemi del mondo. Parlo nel complesso di gente colta, benestante, fortemente motivata al servizio della comunità, ma che fatica molto a interrogarsi sul futuro del mondo. Nella mia lettera, ho cercato di spiegare il mio punto di vista, di chiedere anche a loro di riflettere su questa differenza, di far nascere un dialogo.
Troppi da noi dipingono gli americani come gente arrogante e presuntuosa. L’America che ho incontrato questa volta, il cuore dell’America, è fatto da gente profondamente buona, anche se poco abituata a vedere le cose in una prospettiva globale, come invece facciamo noi problematici europei. E’ gente che fatica ad accettare il rovesciamento di prospettiva operato dalla presidenza Obama a capire che Obama non vuole una America socialista, ma che per la prima volta pone all’America le domande giuste, le domande che riguardano il futuro di noi tutti. Nella mia lettera, ho cercato di spiegare ai miei compagni di allora il mio punto di vista. Scambiarsi impressioni, parlarsi, discutere, approfittando delle possibilità offerte oggi dalla tecnologia, è straordinariamente importante.
Donato,
sono perfettamente d’accordo con la tua analisi (anch’io mi riferisco ad americani che vivono nella provincia americana)
Ho avuto molte occasioni, soprattutto lo scorso anno, di fare frequenti viaggi di lavoro in Tennesse (anche ora ti sto scrivendo da Murfreesboro TN) e di scambiare opinioni con i miei colleghi americani e anch’io ho avuto la sensazione che siano più sereni e a mio avviso ciò dipende dal fatto che (forse perché sono più semplici) si fanno meno problemi di noi e che in generale abbiano uno spirito di adattamento superiore al nostro.
Si vestono in modo molto informale, mangiano senza curarsi della linea, vanno spesso al ristorante perché costa poco ma non si fanno problemi a farsi mettere nella scatola eventuali avanzi, sono consumisti in quanto hanno molto a disposizione (beni, servizi, territorio, energia, natura tutto amplificato rispetto all’europa e penso che in generale (mi riferisco alla recente crisi economica) abbiano uno spirito di adattamento superiore al nostro e quando si trovano in difficoltà si rimboccano le maniche e cercano altre alternative.
In generale però, nonostanti i mezzi di comunicazione, gli americani sono interessati solo a ciò che succede nel loro paese (o dove si trovano i loro soldati)e sono meno sensibili di noi europei a problemi globali come per esempio la riduzione dei consumi energetici e ai problemi di inquinamento e surriscaldamento del pianeta.
Anche nel sud sono molto conservatori e legati al partito repubblicano e molto scettici rispetto al nuovo corso instaurato da Obama, ma la politica mi sembra sia a livello di normale competizione democratica e non come da noi in Italia.
Spero che i tuoi rinnovati contatti con i tuoi compagni di high school ti permettano di approfondire la conoscenza e meglio capire questo paese che io amo molto.
Salve sr. Donati e compagni,
Noi viviamo in Illinois ormai da 10 anni e si puo notare la differenza. Sono compleatmente d’accordo con il commento que ha fatto Adele…e cosi semplice. Sr. Donato, complimenti per il libro!