Esiste la verità in questo Paese? Molti giornalisti autorevoli ormai ne dubitano. Scrive Ferruccio de Bortoli: “I fatti ormai non sono più separati dalle opinioni, sono al servizio delle opinioni”. E Alberto Statera, recensendo “L’intrigo saudita” ha scritto che questo è un Paese senza più verità.

Nel merito della vicenda Eni Petromin  ho risposto a Statera sul sito che accompagna il mio libro e non starò a ripetermi. Ma vorrei aggiungere una riflessione più generale, in cinque punti.

1) La verità oggettiva esiste. Sembra curioso doverlo affermare, ma rapporti indubbi di causa – effetto esistono nella realtà storica e politica, così come nella fisica, anche se non è sempre facile comprenderli e tanto meno prevederli. Qualcosa ha provocato l’esplosione in volo dell’aereo di Ustica, qualcuno ha messo la bomba alla stazione di Bologna, il bacio tra Andreotti e Riina è vero oppure falso: tertium non datur. Quando le vicende hanno rilevanza giudiziaria, la magistratura cerca appunto la verità, anche se non sempre le conclusioni a cui arriva sono esaustive e convincenti.

2) Quasi mai si sa “tutto” di un avvenimento, ma ciò non deve inficiare la verità che si è raggiunta. Qui prendo un esempio tratto proprio dal mio libro: credo che sia ampiamente dimostrato che i soldi della tangente Eni Petromin non erano destinati a tornare in Italia e non ci tornarono, ma non sappiamo che uso fecero i sauditi di quanto incassarono. Su questo, per ora si possono solo avanzare ipotesi. Anche se andiamo a vedere gli altri cosiddetti “grandi misteri italiani” troviamo sempre zone d’ombra, aspetti insoluti, come avviene in tutte le vicende complesse. Queste zone d’ombra troppo spesso sono usate come alibi per seminare il dubbio su quello che invece è acclarato; così si torna sempre da capo, come nel gioco dell’oca.

3) Esiste un giornalismo obiettivo nella ricerca della verità? Sì, esiste. Così come esistono giornalisti di parte, che lavorano per testate che hanno dichiaratamente un obiettivo politico, ci sono nel mondo giornalisti che rispondono soltanto alla propria coscienza. Certo, anch’essi si formano delle opinioni sulle vicende che trattano, ma non selezionano i fatti al servizio di una tesi, come giustamente denuncia De Bortoli. Anche nelle vicende giudiziarie esistono gli avvocati di parte e i giudici: questi ultimi decidono in base ai propri convincimenti, ma ciò non giustifica l’accusa che il loro è un giudizio politico.

4) Tra i giornalisti che hanno la possibilità di essere obiettivi, quanti si sforzano davvero di cercare la verità? Pochi purtroppo, perché molti si accontentano delle verità degli altri. Prendiamo un esempio banalissimo: la quantità di gente alle manifestazioni a Roma. I giornali si limitano a registrare le affermazioni degli organizzatori e quelle della Questura, che di solito sono pari a un quinto delle prime. Non ci vorrebbe molto sforzo per calcolare, per esempio, quanta gente può stare in Piazza del Popolo o al Circo Massimo e quindi esprimere un giudizio obiettivo. Ma si preferisce non farlo, per quieto vivere. Questo vale anche per la statistica. Troppo spesso si mette sullo stesso piano l’indagine scientifica e l’ultimo sondaggio, senza esporsi a dire che quest’ultimo è tarlocco.

5) Ma la gente, il “popolo”, come è diventato di moda dire, vuole la verità? Questo è il punto più preoccupante, quello che può rendere pessimisti futuro del Paese anche dopo l’era Berlusconi. Se i giornalisti peccano d’ignavia, ciò è anche dovuto al fatto che non devono rispondere a una domanda di verità da parte dei loro utenti. Mi ha molto colpito il film Videocracy: basta apparire, che (molto meglio del Caimano, a mio giudizio) descrive la realtà del Paese perché dimostra che il male non è lo strapotere dell’Uno, ma la stupidità dei Tanti. Ci dice il Censis che l’80% degli italiani ha nella televisione la sua principale fonte di informazione. Quattro italiani su cinque si abbeverano nei telegiornali a notizie sfuggenti, giocate sul teatrino delle dichiarazioni contrapposte, mai approfondite. Esistono anche i programmi di approfondimento, ma si tratta quasi sempre di talk show, cioè gare a chi urla di più. Forse  dovremmo imparare dai Dogon del Mali, che tengono le loro discussioni politiche nella Toguna, una sala così bassa che non si può stare in piedi. Così nessuno può saltar su e gridare. Probabilmente questa popolazione africana riesce a discutere della sostanza delle questioni che  riguardano la vita della loro comunità, anziché limitarsi  ad “apparire”, come avviene nel villaggio globale.

1 commento

  1. bravo Donato, ottima analisi.
    pero’ vorrei aggiungere un dettaglio, per quanto insignificante e forse non rilevante: non conosco le statistiche ma si sa che l’Italia è un paese di ‘vecchi’. Senza offesa, anche tu fai parte del campionario… ;-)
    questo è uno dei motivi per cui l’80% della popolazione italiana si informa solo tramite TV e in fondo in fondo non vuole la verità…. più si va avanti nella vita più si anela al quieto vivere, sono pochi gli anziani ancora combattivi, idealisti e interessati a qualcosa che vada al di là dei loro interessi (in genere famiglia, salute, sicurezza).
    Scusa il giudizio un po’ drastico, ma è cosi. Se le statistiche funzionassero con 2 parametri, popolazione al di sotto dei 30 anni e popolazione al di sopra, sai che differenze abissali in praticamente ogni tema? Peccato che in Italia la popolazione al di sotto dei 30 sia poco rappresentata, sia numericamente sia socialmente… fra espatriati, repressi (perchè senza lavoro, obbligati a dipendere dai genitori economicamente e socialmente), nuovi italiani figli di immigrati (e quindi spesso ma non sempre meno interessati a tematiche prettamente italiane), noi “giovani” siamo schiacciati dalle chiacchiere dei “veci”.
    In un paese cosi, come vuoi che si cerchi a fondo la verità? l’interesse dei ‘veci’ è di rimanere dove sono e salvare la loro reputazione, spesso quindi nascondendo o giustificando il loro passato, se passato è.
    chi ha interesse alla verità?
    saluti
    Cristina

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