Non sono stato diligente. E’ da ottobre che non scrivo nulla su questo blog. Tranquillo, direte voi, hai ben pochi lettori; non ci sono frotte di fan in ansia che aspettano un tuo post come se fosse il nuovo Henry Potter o l’ultima trovata di Dan Brown. Ma com’è ben spiegato nel delizioso film Julie e Julia, un blog è innanzitutto un impegno con se stessi. Predichi nel deserto, ma magari un giorno scopri che c’è chi ti ascolta e magari interagisce con te.

Anche se i miei temi non sono così succulenti come le ricette della cucina francese descritte nel blog di Julie, per me sono stati due mesi intensi e interessanti, soprattutto su due fronti: il mio libro l’Intrigo saudita; le attività connesse ai nuovi indici per superare l’attuale Pil, Prodotto interno lordo.

L’intrigo saudita. Abbiamo presentato il libro a Roma; il 14 dicembre lo presenteremo a Milano. Uso il plurale non per megalomania, ma perché il lancio di un libro è una operazione collettiva: grazie Joan, Elena, Elis, Concetta, Cecilia per l’aiuto che mi state dando, grazie a quanti partecipano agli incontri, grazie a Massimo Bordin che ha pubblicato la registrazione dell’incontro romano su Radio radicale, grazie ai colleghi che hanno dedicato tempo per leggere il volume e scrivere un commento.  Sul sito  intrigo saudita.it trovate tutte le notizie sul libro, le recensioni, anche gli elementi di verità che sono emersi dopo la pubblicazione , nonché il collegamento per acquistare il libro on line senza spese di spedizione, se siete interessati e non lo trovate in libreria.

Di certo l’anno che ho dedicato a scrivere un libro su uno scandalo (l’Eni Petromin) scoppiato nel 1979 non mi renderà ricco. Ma come molti hanno riconosciuto, si è trattato di uno snodo fondamentale nella storia della Prima Repubblica. Mi ha gratificato l’interesse riscontrato nei miei allievi di Urbino, quando ho parlato del libro: c’è in loro una grande voglia di conoscere e capire meglio la storia recente di questo Paese. D’altra parte non c’è da stupirsi: è difficile prepararsi a fare il giornalista ignorando i complessi meccanismi che hanno portato l’Italia ad essere, nel bene e nel male, quella che è. Forse ci vorrebbero altri libri di questo genere, scritti non per denunciare ma per raccontare, incrociando atti giudiziari e parlamentari, articoli, documenti originali e testimonianze di oggi. Sono libri che costano una grande fatica, ma ne vale la pena. Il favore di critica con cui è stato accolto il libro, almeno finora, mi ha dato molta soddisfazione. Credo anche di aver contribuito a un’opera di giustizia nei confronti dell’ex presidente dell’Eni Giorgio Mazzanti, che in quella vicenda era stato accusato ingiustamente.

Pil e benessere. Nell’ultima settimana di ottobre, d’accordo col direttore di East Vittorio Borelli,  sono andato a Busan, in Corea, per partecipare al Terzo forum mondiale sulla misura del progresso, organizzato dall’Ocse. A Busan ho partecipato con una relazione a una tavola rotonda sulle comunicazione delle nuove statistiche e dal Forum ho tratto spunto per due articoli:

– Una Analisi pubblicata dal settimanale Il Mondo, dedicata prevalentemente alle problematiche politiche connesse alle nuove misure.

– Un ampio dossier (32 pagine!) di East, attualmente in edicola in italiano e in inglese, che affronta anche i principali aspetti tecnici, i risultati delle diverse misurazioni, e pubblica interviste e documenti.

Il tema generale, già affrontato diverse volte in questo sito, è quello di come andare “oltre il Pil”. Si va verso la misura della felicità, amano scrivere i giornali italiani. A mio parere c’è un equivoco terminologico. Per noi la parola “felicità” implica uno stato di esaltazione momentanea, mentre il termine “benessere” è spesso usato per descrivere una mera situazione economica.  Invece i termini inglesi happiness e well being sono molto più simili: descrivono entrambi uno stato positivo protratto nel tempo.

Gli statistici vogliono ora misurare con diversi criteri il “well being” e usano spesso il sinonimo happiness. Si veda ad esempio il materiale per il calcolo del Gross National Happiness Index del Bhutan: è chiaro che gli statistici himalayani, peraltro molto precisi nelle loro ponderazioni, intendono in realtà misurare il well being. La questione è importante dal punto di vista politico, perché il well being può essere un obiettivo di azione politica diverso dalla mera crescita del Pil, mentre la felicità resta uno stato soggettivo individuale. Come ha detto con efficace sintesi Emma Bonino: “da ragazze ci siamo battute per conquistare la libertà sessuale, ma non chiedevamo che lo Stato potesse garantirci la felicità sessuale!”.

Radicali. Ho citato la Bonino anche perché con Radicali italiani, in un gruppo di lavoro coordinato da Elisabetta Zamparutti, abbiamo cominciato a ragionare sui nuovi indici di benessere e su altri temi che a questi indici si collegano come le ciliegie, dalle garanzie di autonomia nella produzione dei dati alla trasparenza nell’utilizzo delle statistiche da parte della politica e dei media. Ho proposto e realizzato con loro un seminario su questo tema dopo aver visto la lettera inviata da Emma ed Elisabetta alle commissioni ambiente ed economia di Camera e Senato sul rapporto Stiglitz – Amartya Sen Fitoussi per Sarkozi. Per fortuna, in un panorama desolante come quello italiano, i radicali, almeno loro, si occupano di temi concreti: i diritti umani, la gente che sta male in carcere, i diritti dei malati, la qualità dell’informazione di cui le buone statistiche fanno parte.

Ecco le ragioni della mia negligenza nell’aggiornare il blog. In realtà ci sono tante cose che succedono e sulle quali mi piacerebbe scrivere. Dovendo però scegliere per limiti di tempo, preferisco raccontare quello che so e quello che faccio piuttosto che commentare quello che vedo o sento raccontare da altri. Anche perché, in Italia, spesso quello che vedo e sento mi sembra troppo assurdo per essere vero.

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