L’idea è nata dell’ottobre scorso, quando sono stato a Busan, in Corea, a seguire per conto della rivista East, Europe and Asia strategies il grande convegno internazionale dell’Ocse sulla misura del progresso. Ne ho già parlato su questo blog.
Da domani sarà in libreria il mio nuovo libro I numeri della felicità – dal Pil alla misura del benessere. L’editore è Cooper, lo stesso del mio volume dell’anno scorso L’intrigo saudita. Il libro è di 286 pagine e contiene anche classifiche e documenti. Il prezzo è 15 euro e il volume si può acquistare facilmente anche on line.
Lunedì 14 giugno alle 16 presso la biblioteca del Cnel di Viale David Lubin 2 a Roma, il libro sarà presentato in un seminario organizzato dal gruppo di lavoro “Nuovi indicatori macroeconomici” del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Avrò il piacere di discuterne con Mario Baldassarri, Emma Bonino, Enrico Cisnetto, Enrico Giovannini, mentre il moderatore sarà Gabriele Olini. L’incontro è aperto e ne abbiamo dato notizia anche nelle università.
Non ho voluto fare un libro tecnico. Dalla prefazione di Enrico Giovannini, presidente dell’Istat:
In queste pagine Donato Speroni si conferma, ancora una volta, non solo un attento lettore del mondo che ci circonda, ma un autore capace di sintetizzare la complessità di un movimento scientifico e culturale che abbraccia approcci e piani molto diversi. Spaziando da Robert Kennedy a Nicholas Sarkozy, dal Re del Bhutan al Presidente della Commissione Europea, passando per vincitori del Premio Nobel a economisti e statistici sconosciuti al grande pubblico, Speroni introduce il lettore a tematiche di grande respiro e di rilievo politico decisivo, mostrando come la misura del benessere di una società e del suo progresso nel tempo rappresenti la chiave di volta del suo funzionamento.
Infatti, come è stato più volte notato, noi uomini prestiamo attenzione a ciò che misuriamo e misuriamo ciò a cui prestiamo attenzione. Non a caso, negli ultimi sessanta anni il mondo si è concentrato sulla misurazione dell’attività economica (cioè sul Prodotto interno lordo, PIL) ed ha conseguito uno sviluppo del benessere materiale senza precedenti nella storia dell’umanità. Così facendo ha migliorato le condizioni di vita di gran parte della popolazione mondiale, allungando la sua vita media, conseguendo livelli di conoscenza inimmaginabili nel passato. Come sappiamo, però, ha anche prodotto danni irreparabili sull’ambiente, diseguaglianze senza precedenti e si è dimostrato incapace di assicurare una vita dignitosa ad una parte consistente della popolazione mondiale.
Non ci si deve, quindi, stupire che le crisi sopra ricordate conducano ad un ripensamento profondo delle metriche che il mondo usa per valutare se stesso ed orientare le sue scelte future. Come dice il Premio Nobel Amartya Sen, discutere di indicatori statistici equivale a discutere dei fini ultimi di una società ed è per questo che Speroni ci conduce attraverso un viaggio che tocca le misure classiche dei fenomeni economici e sociali, come il PIL, ma anche i nuovi indicatori di benessere, felicità e sostenibilità, mostrando gli elementi culturali, politici e statistici che stanno alla base di ciascuno di essi. Il libro, facilmente accessibile anche per i non addetti ai lavori, mostra l’ampiezza della tematica, che coinvolge paesi sviluppati e in via di sviluppo, consentendo di apprezzare l’accelerazione che negli ultimi anni è stata impressa alla riflessione su questi temi da parte di organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e l’Unione Europea, ma anche di organizzazioni non governative, fino a costituire un network internazionale di centinaia di soggetti in tutto il mondo.
Alle parole lusinghiere di Giovannini aggiungo alcune considerazioni tratte dalla mia premessa:
Alla notizia che stavo scrivendo un libro sulla misura del progresso “oltre il Pil” ho raccolto quasi sempre tre tipi di reazioni.
A) La prima, di assoluto disinteresse: «Ah, che bello…» , quindi l’interlocutore passava rapidamente ad altro argomento.
B) La seconda lasciava trasparire una spiccata antipatia per le misurazioni economiche: «Davvero? Insomma è la volta buona che riusciamo ad abolire il Pil!» Reazione tipica, questa, di chi nelle sue azioni ha forti motivazioni sociali: persona solitamente di sinistra, ma non solo.
C) La terza denotava diffidenza, più che antipatia, verso questi “velleitari” tentativi di sconvolgere l’ordine costituito: «Ah sì? Beh sappi che io non ci credo proprio…» Reazione tipica del conservatore, peggio se si trattava di un economista. Per onestà devo dire che altri hanno mostrato apprezzamento e interesse sincero, senza posizioni precostituite, ma le tre reazioni che ho descritto mi hanno fatto riflettere.
Non posso biasimare gli amici di tipo A. Molta gente odia i numeri, soprattutto in Italia, e fatica a capire che una persona normale possa desiderare di scrivere un libro sul buon uso dei dati. È il frutto di un’educazione che ignora la numeracy(la cultura numerica), che guarda con diffidenza alla scienza, che considera incomprensibile qualunque cosa si esprima con una formula anche semplicissima. Parliamo invece di chi ha un pregiudizio di tipo B o C: questo libro sarà servito a qualcosa se riuscirà a smontare gli “opposti estremismi” dei fautori del “No Pil” e di quelli che considerano la misura del Prodotto interno lordo come uno strumento intoccabile.
A differenza di gran parte della letteratura uscita in Italia sull’argomento, questo non è un libro a tesi. Racconta invece la ricerca che in tutto il mondo coinvolge migliaia di statistici, economisti, sociologi, psicologi, tutti impegnati a rispondere alla domanda “Come si misura il progresso dell’umanità?” e a fornire ai decisori politici migliori strumenti di valutazione, sperando che ne vogliano tener conto.
Un’ultima annotazione: credo di aver scritto un libro agile, che consente a tutti di farsi un’idea della grande partita che si gioca sulla misurazione del benessere, del progresso, della sostenibilità futura. Una partita politica che contribuirà a cambiare il mondo nostro e dei nostri figli. L’attenzione che il Cnel, l’Istat e numerosi gruppi culturali e politici stanno dedicando a questo tema segnala che anche in Italia l’argomento è di grande attualità; avremo modo di parlarne anche in futuro.
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