L’annuncio del premier cinese Wen Jiabao alla vigilia del congresso del Partito comunista, di voler trasformare la Cina da società “armoniosa” (questo era il precedente obiettivo, non sempre raggiunto), in società “felice”, ha stimolato molte riflessioni, come ha riportato il Corriere del 4 marzo, con un commento dello storico Giovanni Belardelli.
Non si tratta solo di uno slogan congressuale. In realtà la Cina sperimentava da tempo, in alcune province, degli “indici della felicità”; ora sta cominciando anche a trarne conclusioni politiche.
L’agenzia ufficiale Xinhua ha preparato il terreno al discorso di Wen con servizi come questo, del 1° marzo: “ ‘Sono rimasto molto male quando ho saputo che la mia promozione era stata rinviata’, dichiara Ma Dechen, capo del partito in un piccolo paese di montagna della provincia di Henan. ‘Ma dopo un attento esame dell’indice di felicità, mi sono reso conto che non avevo dedicato abbastanza attenzione alla qualità della vita e al benessere dei miei concittadini’”.
Già da tre anni, ci racconta la Xinhua, in alcune zone della Cina è stato introdotto un “indice di felicità”, che tiene conto di 16 elementi diversi, accanto agli indicatori economici, per valutare i risultati dell’azione del Partito comunista. Per che segue le vicende della statistica mondiale si tratta di una scoperta abbastanza sorprendente, perché finora, a livello ufficiale, la Cina aveva sempre guardato con diffidenza ai tentativi attuati in sede internazionale, soprattutto dall’Ocse, per misurare il progresso oltre il Pil, nel timore che questo genere di rilevazioni incentrate su benessere e sostenibilità svelassero o addirittura accentuassero le disparità e le tensioni presenti nella pancia del grande paese. Invece Pechino aveva già avviato le sue verifiche. Anche nella statistica, dunque, il governo cinese segue la sua tecnica ormai consolidata: non farsi imporre le innovazioni dall’esterno, ma procedere cautamente nella sperimentazione del progresso.