Nelle sue “Conversazioni notturne a Gerusalemme”, Carlo Maria Martini riprende le parole del profeta Gioele citate anche dall’apostolo Pietro: “I vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni”. Sono parole importanti anche per un laico come me…

Nelle sue “Conversazioni notturne a Gerusalemme“, Carlo Maria Martini riprende le parole del profeta Gioele citate anche dall’apostolo Pietro: “I vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni”.
L’ex arcivescovo di Milano, che vive in ritiro a Gerusalemme e sta per compiere 82 anni, le spiega così: “i figli e le figlie (…) devono essere critici. La generazione più giovane verrebbe mano al suo dovere se con la sua spigliatezza e il suo idealismo indomito non sfidasse e criticasse i governanti, i responsabili e gli insegnanti. In tal modo fa progredire noi…”
Per la generazione di mezzo “avere delle visioni” significa che “un vescovo, un parroco, un padre, una madre, un imprenditore (…) dovrebbero avere degli obiettivi per una comunità, una famiglia, un’azienda. I responsabili devono sapere cosa fare e quali compiti accettare”.
Martini aggiunge: “E’ bello che il profeta assegni un compito anche agli anziani, Non ci si può aspettare che siano innanzitutto critici e profetici. Non si deve pretendere dagli anziani che portino pesi, elaborino progetti e li realizzino come la forte generazione di mezzo. Hanno meritato di affidare ad altri il comando e di dedicarsi a qualcosa di nuovo: il sognare”. A che servono i sognatori? “A mantenerci aperti alle sorprese dello Spirito Santo, infondendo coraggio e inducendoci a credere nella pace là dove i fronti si sono irrigiditi. (…) Gli anziani devono trasmettere i sogni e non le delusioni della loro vita”.
Come tanti altri spunti del bel libro nato dal dialogo di Martini con l’altro gesuita Georg Sporschill, queste parole hanno fatto riflettere anche un laico come me, che fatica a credere a un disegno costruttivo dello Spirito Santo. Significano innanzitutto che non ci si deve spaventare dello spirito dialettico dei più giovani, che può apparire distruttivo: i profeti del Vecchio Testamento, come anche Cristo, erano antagonisti rispetto alla società del loro tempo.
E’ anche giusto che sia la generazione di mezzo a governare: non un’oligarchia, come succede in Italia. A patto però che i nuovi leader sappiano guardare al di là del loro naso e abbiano una “visione” di dove vogliono condurre la società.
E gli anziani? Questa parte della profezia mi interessa particolarmente. Ho compiuto da poco sessantasei anni e otto mesi. Se anche vivessi cent’anni (come spero, alla faccia delle statistiche demografiche che mi attribuiscono una “speranza di vita” nettamente minore), sono comunque entrato nella “terza fase” indicata dal profeta. Valgono anche considerazioni non anagrafiche: ho appena completato, dopo sei mesi di lavoro, la prima stesura di un libro che mi “portavo dentro” da trent’anni e che certamente rappresenta il compimento di tante vicende di impegno diretto e di assunzione di responsabilità.
Sognare per me significa far tesoro delle esperienze accumulate non per contestare, non per gestire, ma per immaginare un futuro possibile per tutti. Saper comporre, nel sogno di un mondo diverso, problemi apparentemente insolubili come la sovrappopolazione della Terra, la spoliazione dell’ambiente, i crescenti contrasti tra ricchi e poveri certamente peggiorati dalla crisi senza precedenti che ha colpito il mondo. O altri dilemmi angoscianti, contrasti di interessi apparentemente senza soluzione che possono riguardare l’Europa, l’Italia, la propria comunità, la propria famiglia.
Questi sogni devono essere stimolati con un cibo adeguato per la mente e il cuore: è necessario avere il tempo e la capacità di ascoltare le persone, di cogliere i segni del cambiamento tra i tanti messaggi che ci bombardano, di immaginare e valorizzare quello che è importante per costruire il domani. In fondo l’uso dei sogni nella psicanalisi per andare alla radice delle proprie motivazioni non è molto diverso da questo processo.
Per sognare e comunicare i sogni che interessano la comunità bisogna andare oltre la dialettica tra gestione e antagonismo, tra tesi e antitesi, per indicare al meglio le possibili sintesi, senza “portare i pesi” delle appartenenze e delle ideologie. E’ paradossale, ma se la mia interpretazione è esatta (e mi piace pensare che lo sia, per trarne una norma di comportamento valida almeno per me) spetta agli anziani mostrare alle generazioni successive il migliore dei mondi che l’umanità potrà realizzare, lasciando ad altri il compito di costruirlo: quel mondo che essi probabilmente non vedranno, ma che grazie ai loro sogni trasformati da altri in “visione” potrà almeno in parte avverarsi.

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