Da una quindicina d’anni mi occupo di futuro e sostenibilità. Ho cominciato con articoli su temi globali per la rivista East diretta da Vittorio Borelli, poi ho condensato questi articoli con altre ricerche nel libro “2030 la tempesta perfetta – come sopravvivere alla grande crisi” scritto per Rizzoli con Gianluca Comin. Poi dal 2016, con la nascita dell’ASviS, l’associazione italiana per lo sviluppo sostenibile promossa da Enrico Giovannini per unire i soggetti che in Italia sono impegnati sull’Agenda 2030 dell’ONU e sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile, il mio impegno è stato soprattutto nella gestione della redazione, nella scrittura degli editoriali della newsletter settimanale e da ultimo nella responsabilità del sito futuranetwork.eu che guarda ai prossimi decenni anche oltre il 2030.

Più invecchio più mi appassionano le ricerche sugli scenari futuri di un mondo che certamente non vedrò ma che possiamo contribuire oggi a rendere più sostenibile. Dobbiamo dirci però che le prospettive non sono buone. Innanzitutto dal punto di vista geopolitico: nel 2015, quando i 183 Stati aderenti all’ONU sottoscrissero l’Agenda 2030 e gli accordi di Parigi sul clima, sembrava proprio che il multilateralismo potesse evitare quella “tempesta perfetta” la cui minaccia, per fattori demografici, ambientali, economici e sociali in mancanza di adeguata governance internazionale, avevo segnalato con Comin nel libro del 2012 basato su un rapporto del capo dei consulenti scientifici del governo inglese John Beddington. Da allora però abbiamo assistito a molti elementi di degrado della situazione: dapprima il quadriennio di Trump e la sostanziale retromarcia degli Stati Uniti rispetto agli impegni internazionali, poi la pandemia, infine con l’esplodere di due guerre che hanno reso molto più difficile la collaborazione multilaterale e polarizzato le nazioni del mondo in diverse schieramenti.

I discorsi sulla sostenibilità sono ormai molto di moda anche a livello commerciale, ma i conflitti sulle modalità della transizione ecologica sono diventati molto più evidenti man mano che la transizione stessa imponeva ed impone scelte coraggiose. L’obiettivo di una giusta transizione, in linea col preambolo dell’Agenda 2030, è quello di garantire una vita “decente” a tutta la popolazione mondiale. Per fare questo però è necessario impegnarsi fortemente nel coinvolgimento e nell’aiuto ai paesi in via di sviluppo: per esempio, la mitigazione del cambiamento climatico sarà impossibile se i crescenti fabbisogni di energia di questi paesi non potranno essere affrontati con tecnologie che non producono emissioni e che sarebbe possibile impiegare solo con il supporto tecnico e finanziario dei paesi più sviluppati. Non si può dire però che la politica vada in questa direzione e neppure chi affronti i grandi problemi che già sappiamo si presenteranno nei prossimi decenni per esempio a causa dell’inaridimento delle terre di vaste zone dell’Africa e dell’Asia che potrebbe portare allo spostamento di centinaia di milioni di persone rimaste prive dei mezzi di sussistenza.

In realtà le ricette per un futuro sostenibile le conosciamo bene. Il summit e il futuro che si è tenuto all’ONU nel settembre di quest’anno ha delineato una serie di proposte la cui attuazione però richiede un grande consenso internazionale. A livello europeo, gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 sono stati la bussola della prima presidenza di Ursula von der Leyen, ma oggi le pressioni per rallentare il cammino verso la transizione sono molto forti. In Italia, il quadro è quello descritto dall’ultimo rapporto dell’ASviS: molti ritardi e poca volontà di affrontare i problemi legati alla sostenibilità.

A mio modo di vedere, è in corso una partita tra tre schieramenti. Il primo è costituito da chi crede che gli obiettivi dell’Agenda 2030, anche se l’attuazione è in ritardo, rappresentino indichino la direzione in cui muoversi: multilateralismo, solidarietà tra i popoli, coraggio nelle scelte contro la crisi climatica in un quadro che tenga conto degli effetti sociali dell’inevitabile cambiamento, per esempio nella transizione delle auto a combustione interna ai veicoli completamente elettrici.

Dall’altro lato, guardano al futuro i cosiddetti “lungo termiti” che a quanto ci raccontano in questi giorni i giornali hanno i loro capisaldi nella Silicon Valley. La tesi è che bisogna preoccuparsi non solo delle attuali ma anche delle future generazioni, ma questo giusto principio viene declinato nella proposta di una serie di scelte che danno per scontato l’impossibilità di salvare tutto e tutti: per esempio investendo nelle ricerche spaziale per portare la vita anche su altri mondi anziché rendere più umane le condizioni attuali nelle zone più povere come in Africa. Questa visione fantascientifica si coniuga con una profonda sfiducia nella democrazia e nella possibilità di raggiungere un accordo tra le popolazioni del mondo: meglio dunque puntare a una società guidata da un gruppo di tecnocrati, pronti a lasciare indietro chi non riesce a tenere il passo.

Il mezzo tra questi due schieramenti “visionari” c’è la politica corrente, fatta di scelte di brevissimo termine, che evitano di affrontare i problemi del futuro, oppure fingono di farlo con misure del tutto inadeguate come per esempio gli incentivi per la natalità, che certamente avranno effetti molto limitati in mancanza di servizi adeguati che facilitino il lavoro delle donne e che vengono proposti ignorando il vero problema demografico che riguarda la quantità e la modalità di accoglienza di di centinaia di migliaia di immigrati di cui abbiamo bisogno per evitare che il nostro paese si impoverisca

Su questa grande partita opinione pubblica è poco informata. Avverti con inquietudine che siamo in un mondo sempre meno sicuro, nel quale ha visto presentarsi fenomeni fino a ieri impensabili come la pandemia e due guerre alle porte dell’Europa, avverte con chiarezza i rischi della crisi climatica che potrebbe avere effetti del Mediterraneo anche doppi rispetto la temperatura media e che già si traduce in gravi fenomeni metereologici dalla siccità alle illusioni, ma stenta a capire e ad accettare le terapie necessarie, anche perché manca una leadership politica in grado di spiegarle.

Il vecchio meccanismo della delega politica in democrazia non funziona più. In passato, gli eletti ricevevano un mandato fiduciario che durava quattro o cinque anni e che consentiva loro di fare anche scelte impopolari con visioni di lungo periodo. Oggi l’ossessione dei sondaggi, dei social media, l’illusione di sapere tutto perché tutto è accessibile su Internet, ha distrutto questa delega. È dunque necessario lavorare direttamente ssull’opinione pubblica attraverso l’informazione e le strutture della società civile, ma non ci nascondiamo che la sfida è molto difficile.

aggiornato il 20 ottobre 2024