Il bimestrale East ha pubblicato il mio lungo articolo in italiano e in inglese sulla Conferenza di Istanbul promossa dall’Ocse nel giugno scorso per migliorare i criteri di misurazione del progresso umano. La Stampa di Torino ha anche cortesemente anticipato alcuni brani del mio lavoro. Il Pil sarà rimpiazzato da un indice di felicità, come in Buthan? Personalmente non lo credo. Però sono convinto che da questa ricerca nascerà la statistica del 21° secolo e che a livello internazionale ne scaturiranno nuovi obiettivi condivisi che sostituiranno gli Obiettivi del Millennio.The bi-monthly magazine East, Europe and Asia STrategies published my article in Italian and English about the Istanbul Conference on “Measuring and Fostering the Progress of Societies” which took place in June. Shall we see The Gross National Happiness replace the Gross Domestic Product as main indicator of the well being of a country, as in Buthan? I don’t think so. But from this field of research we can expect to witness the birth of the new statistical system of the 21st century ond of new world goals which will replace the Millennium Development Goals (Mdg).
Il bimestrale East ha pubblicato il mio lungo articolo in italiano e in inglese sulla Conferenza di Istanbul promossa dall’Ocse nel giugno scorso per migliorare i criteri di misurazione del progresso umano. riportato anche sul sito di Terza Repubblica. La Stampa di Torino ha anche cortesemente anticipato alcuni brani del mio lavoro. Sia la rivista che il quotidiano nella titolazione hanno messo l’accento sul tentativo di misurare la felicità anziché il Prodotto interno lordo. Giustamente, dal punto di vista giornalistico, perché questo è l’aspetto che colpisce di più la fantasia del lettore.
Non credo che il Gross National Happiness, la misura della felicità inventata nel 1972 dal re del Buthan Jigme Singye Wangchuck, potrà mai prendere il posto del Pil anche lontano dall’Himalaya. La felicità è una percezione soggettiva, fortemente influenzata non soltanto dagli stati d’animo individuali (posso essere più triste dell’anno scorso perché la mia fidanzata mi ha lasciato, ma questo non è un buon indicatore di politica economica), ma anche da certe caratteristiche nazionali; per esempio, tra i popoli più felici del mondo ci sono i nigeriani, che a giudicare dalle cronache che ci arrivano da Lagos e dintorni non se la passano proprio bene.
D’altra parte il vecchio Pil non è più sufficiente, per mille motivi illustrati anche in questo blog. E allora? In realtà l’aspetto più affascinante di questa storia è che si tratta di un campo di ricerca, che vede impegnati migliaia di statistici ed economisti, come risulta anche dall’incontro di Istanbul. Da questa ricerca nasceranno nuovi obiettivi che sostituiranno i Millennium Development Goals dopo il 2015, ma più in generale un nuovo sistema di contabilità nazionale del 21° secolo: non un solo indicatore, ma una batteria di dati che nel loro insieme descriveranno il progresso di ciascuna comunità, ma che per avere valore dovranno anche essere accettati e condivisi dalla comunità stessa, anziché essere calati dall’alto: la sociestique al posto della statistique, per usare un’espressione del chief statistician dell’Ocse Enrico Giovannini che è tra i promotori di questa evoluzione.
A Bruxelles, il 19 – 20 novembre, il convegno “Beyond Gdp” dovrebbe segnare ulteriori progressi in questa ricerca. Contiamo di potervelo raccontare.
>Contiamo di potervelo raccontare.
E il plurale e’ perche’ a Bruxelles ci dovrei essere anche io? :)
Risposta paracula: ma certo, figlio mio! Risposta onesta. No, era solo un pluralia maiestatis.
Però è vero che mi piacerebbe fare un racconto a quattro mani con te di questa come di altre vicende che viviamo con ottica diversa.
I problemi metodologici sono grandissimi. Rilevare stati come felicità qua o in Nigeria può essere molto complicato e diverso. Non basta un sistema unico per tutti (che genererebbe dati fuorvianti). Rilevare e costruire dati sociali non è come rilevare dati economici (mancano le unità di misura standard). Una soluzione che vedo possibile è quella di creare gruppi di ricercatori locali che abbiano cognizione sia della particolarità del paese dove rilevano i dati, sia cognizione di come poi questi dati possano essere valutati e paragonati rispetto agli altri contesti locali a livello globale. Difficilmente gli statistici o gli economisti sono in grado di affrontare questi problemi, con le loro rigide categorie, almeno da soli. Gruppi multidisciplinari di sociologi-economisti-psicologi-statistici potrebbero anche farcela…ma il lavoro richiede impegno. Per ora, con le risorse intellettuali attuali, ci si può accontentare del “indice di sviluppo umano” che rispetto al PIL dice molto di più ed è abbastanza facilmente operazionalizzabile. Però bisogna lavorare per creare una classe glocale (locale-globale) di metodologi e ricercatori capaci di andare avanti… sennò è inutile fare sogni statistici:)
Risposta. L’indice di sviluppo umano dell’Undp è stato un generoso tentativo, ma non è sufficiente, tanto che lo si calcola da anni ma ha ben poco impatto politico. Non c’è dubbio che ci vogliono gruppi multidisciplinari. Ma se leggi il mio articolo sulla conferenza di Istanbul vedrai che questa è proprio la direzione nella quale ci si vuole muovere a livello internazionale. Spesso la nostra sfiducia nasce dal fatto che vediamo la realtà dall’angolo del ritardo italiano, dove in effetti su questi temi economisti e statistici stanno facendo, mi sembra, ben poco. E’ vero che è proprio un italiano, Enrico Giovannini, quello che ha messo in moto questo processo. Ma sta a Parigi, all’Ocse, e non a Roma.