E’ uscito ieri in libreria il volume 2030. La tempesta perfetta – Come sopravvivere alla Grande Crisi (Rizzoli, 240 pagine, 18,50 euro, anche in e book) che ho scritto insieme a Gianluca Comin. L’accoglienza iniziale è stata ottima, con numerose recensioni, soprattutto on line, fin dal primo giorno. Abbiamo creato un sito che segue gli sviluppi del libro. Ci auguriamo che stimoli discussioni su temi che in Italia tendiamo sempre a nascondere sotto il tappeto, perché troppo presi dalle difficoltà dell’oggi per pensare anche ai rischi del domani. Eppure bisogna cambiare: politiche nazionali ed internazionali, comportamenti individuali e delle imprese, strumenti di misura del progresso, in un insieme che abbiamo definito “una filosofia new global”. Ci aiuta la rete, il moltiplicarsi delle comunicazioni, la crescente consapevolezza nel mondo dei rischi che stiamo correndo.

Il libro valuta la possibilità che entro il 2030 si determini una situazione difficilmente gestibile a causa dell’aumento dei consumi, delle diffuse povertà indotte anche dal riscaldamento del Pianeta, dalla debolezza delle risposte politiche a livello globale. Ne potrebbe derivare la cosiddetta “tempesta perfetta”, ancora più devastante di una guerra mondiale. Si può evitare? Abbiamo cercato di dare una risposta spaziando dalle problematiche demografiche a quelle ambientali, dalla politica all’economia.

Un’impressionante convergenza di sintomi e di diagnosi (ben al di là della crisi economica attuale) porta a dire che la tempesta si sta avvicinando. Gli scienziati lanciano l’allarme: il capo dei consulenti scientifici del governo inglese John Beddington ha parlato per primo di perfect storm nel 2009 con un documento diffuso poi in migliaia di copie dal Population Institute di Washington e riportato integralmente in italiano nel libro. Non sono meno preoccupati i premi Nobel firmatari del Memorandum di Stoccolma del maggio 2011, mentre gli economisti avvertono che non esiste un modello di previsione che ci dica come la Terra nel 2030 potrà sostenere una umanità di otto miliardi di persone, di cui almeno tre o quattro con consumi paragonabili a quelli degli attuali Paesi industrializzati (circa un miliardo di abitanti) senza conflitti sanguinosi per le risorse naturali, carestie, migrazioni di massa.

Le previsioni sulla crisi globale non provengono più soltanto da ecologisti arrabbiati o da scienziati pensosi sul futuro dell’umanità. Le risorse naturali scarseggiano. Jeremy Grantham, autore di una newsletter molto seguita sulle prospettive dei mercati finanziari, ha scritto sulla rivista “Time”: “Quello che ci preoccupa veramente non è il picco del petrolio, ma il picco di tutto il resto”.

Col nostro lavoro, ampiamente documentato, con note che consentono di accedere a centinaia di documenti, cerchiamo  di portare questa consapevolezza in Italia e avvertiamo che la tecnologia non basterà a salvarci. Ma il libro non è pessimista, perché registra anche i cambiamenti positivi che già stanno avvenendo nel mondo. Centinaia di migliaia di associazioni affrontano i temi dell’ ethical living e dei consumi sostenibili. Anche in mancanza di un accordo internazionale che sostituisca il Protocollo di Kyoto, molte nazioni, (dall’Olanda alla Cina, ma non l’Italia) compiono importanti sforzi di adaptation agli ormai inevitabili cambiamenti climatici. Centinaia di città, dalle smart cities alle transition towns, si mettono in rete per scambiarsi esperienze e tecnologie. Le imprese danno nuova sostanza alla “responsabilità sociale” anche attraverso accordi delle multinazionali con i loro storici nemici ambientalisti. E la governance mondiale, pur attraverso i faticosi meccanismi del G20 e dei grandi congressi internazionali, compie qualche significativo passo avanti.

Basterà tutto questo? Certamente no, bisogna accelerare il passo. Ma è possibile che la collaborazione tra organizzazioni internazionali, autorità politiche a tutti i livelli, cittadini, associazioni non profit e imprese consenta di affrontare il futuro. Non è certo un invito a volersi bene a tutti i costi. Abbiamo scritto:

I meccanismi del mercato, così come quelli della competizione politica, non possono essere soffocati da un finto unanimismo.“Ma è possibile darsi regole comuni di comportamento, meccanismi di trasparenza delle decisioni, sistemi di coinvolgimento dei cittadini, impensabili senza i mezzi tecnologici di oggi”. Le reti, la comunicazione diffusa, la possibilità di coinvolgere milioni di persone nelle decisioni sono uno strumento formidabile per affrontare il futuro.

Questo insieme di politiche top down e di comportamenti bottom up è il nocciolo di quella che appunto chiamamo “la filosofia new global”, una linea di comportamento che ha bisogno di tutti i protagonisti e ne valorizza l’apporto. “É essenziale, perché questa filosofia funzioni, che il mondo si liberi dalla paura e dalla diffidenza. Non si può affrontare il futuro pensando solo al peggio. Non si può diffidare sempre e comunque degli altri. In questa partita globale siamo tutti, ciascuno con i propri ruoli, sulla stessa barca. Cercare di spingere gli altri fuori bordo servirebbe solo a farla rovesciare”. 

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