Mio figlio Pietro, che è un rigoroso, dice che in questi casi bisogna pubblicare un disclaimer, cioè dichiarare i rapporti di parentela o di amicizia con la persona citata nel blog. E allora dichiaro che conosco Paolo Soddu da più di trent’anni, per un’amicizia di famiglia. Questo però non mi impedisce di parlar bene del suo lavoro perché si tratta di uno storico di valore, che ha scelto un tema prezioso anche per riflettere sulla crisi di oggi.
Ho assistito al Senato, mercoledì 29, alla presentazione del volume “Ugo La Malfa – Il riformista moderno” (Carocci Editore), scritto da Paolo Soddu. Era presente il Capo dello Stato. Il libro ha già avuto, come è giusto, recensioni lusinghiere da giornalisti e storici come Nello Ajello, Piero Craveri, Giuseppe Galasso, Nicola Tranfaglia. Hanno parlato del libro Giovanni De Luna, Galasso, Paolo Savona, mentre Enzo Bianco, Carlo De Benedetti, Antonio Maccanico, Eugenio Scalfari hanno fornito testimonianze personali. Inevitabile la nota di rimpianto rispetto ai politici e alla politica di oggi.

Ho ripensato alla sua passione civile, capace anche di “giocare di sponda”, come lui stesso teorizzò con Scalfari paragonando la politica al biliardo, tutte le volte che il boccino non si può colpire direttamente; per un partito come il Partito repubblicano italiano, che ad andar bene aveva il 2 per cento dei consensi, giocare di sponda era obbligatorio.
I quattro gatti del Pri furono il lievito della democrazia, dall’avvento La Malfa alla segreteria del partito dell’edera (proveniva dal Partito d’Azione) fino alla sua morte. A La Malfa si deve la liberalizzazione degli scambi dell’immediato dopoguerra, imposta contro il parere della Confindustria, ma che si rivelò una frustata salutare per l’apparato produttivo del Paese. e anche l’adesione al sistema monetario europeo, premessa all’adesione all’euro. Possiamo dire che è grazie a lui che siamo “aggrappati all’Europa”. A lui si deve l’affrancamento dei socialisti dalla sudditanza al Pci, con la nascita del primo centrosinistra nel 1962, ma anche, negli anni’70. lo stimolo all’uscita dei comunisti di Enrico Berlinguer dal ghetto di un’opposizione sterile e trinariciuta.
Era un uomo di visione e di rigore. Qualche volta sbagliò, come quando ritardò l’ingresso in Italia della Tv a colori in nome di un’austerità che era ormai fuori dai tempi. Ma, come ha ricordato Paolo Savona, aveva un concetto cardine che sarebbe bene far rivivere oggi e che la moderna scienza economica sta approfondendo: la felicità dei cittadini non dipende solo dalla disponibilità di beni individuali, ma anche dal buon uso dei beni pubblici. Un concetto molto lontano dal berlusconismo (la felicità dipende dalle disponibilità individuali), ma anche dalla pratica concreta della sinistra italiana che troppo spesso avalla la realtà corporativa dei beni pubblici gestiti nell’interesse di chi li produce).
Era un capo carismatico, ma era anche molto attento ai giovani. Le poche volte che l’ho incontrato (ero un giovane della federazione giovanile) i nostri colloqui finivano invariabilmente con la frase: “E adesso dimmi che cosa pensi della situazione politica”. Ero intimidito, ma cercavo di spiaccicare qualche frase, spesso giovanilisticamente critica verso di lui e la sua linea. Stava a sentire con pazienza e spiegava.
E’ morto nel 1979. Io ero già uscito dal Pri, ma dopo di lui non c’è mai stato un leader politico in cui sono riuscito a riconoscermi.
Sono uscito dal Senato, nelle strade bagnate di pioggia e segnate poche ore prima dalla violenza scaturita da manifestazioni che fatico a capire, pensando quanto manca alla democrazia di oggi un politico come Ugo La Malfa e un partito come il suo Pri. Oggi a causa della crisi economica stanno riscoprendo l’importanza del settore pubblico. Ma non vedo in giro né il suo rigore né il suo disinteressato carisma.

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